Ordinanza n. 103 del 2022

ORDINANZA N. 103

ANNO 2022

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giuliano AMATO;

Giudici: Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2, commi 2 e 3; 3, comma 1; 40, commi 1, primo periodo, e 2, primo periodo; 45, comma 1, e 51, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), promosso dal Tribunale ordinario di Roma, sezione lavoro, nel procedimento vertente tra R. A. ed altri e il Ministero della giustizia e la Presidenza del Consiglio dei ministri, con ordinanza del 12 aprile 2021, iscritta al n. 87 del registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell’anno 2021.

Visto l’atto di costituzione di C. P. ed altri, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 22 marzo 2022 il Giudice relatore Giovanni Amoroso;

uditi l’avvocato Egidio Lizza per C. P. ed altri e l’avvocato dello Stato Antonio Grumetto per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 22 marzo 2022.

Ritenuto che, con ordinanza del 12 aprile 2021, il Tribunale ordinario di Roma, sezione lavoro, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2, commi 2 e 3; 3, comma 1; 40, comma 1, primo periodo, e 2, primo periodo; 45, comma l, e 51, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), in riferimento agli artt. 108, primo comma, 36, primo comma, e 3, primo comma, della Costituzione;

che nel giudizio a quo alcuni dipendenti del Ministero della giustizia, aventi diverse qualifiche e appartenenti ai ruoli del personale non dirigenziale, in servizio presso le cancellerie e le segreterie giudiziarie, hanno proposto ricorso ex art. 414 del codice di procedura civile nei confronti del medesimo Ministero;

che – come riferito dal giudice rimettente – i ricorrenti hanno chiesto: «1) [l]’accertamento e la dichiarazione del diritto alla regolamentazione con legge di ogni aspetto giuridico ed economico del rapporto di lavoro del personale non dirigenziale appartenente ai ruoli delle cancellerie e segreterie giudiziarie del Ministero della Giustizia in osservanza dell’art. 108, c. 1 Cost.[;] 2) [l]’accertamento e la dichiarazione del diritto alla regolamentazione del trattamento retributivo del personale non dirigenziale appartenente ai ruoli delle cancellerie e segreterie giudiziarie del Ministero della Giustizia con criteri proporzionati alla qualità del lavoro prestato in osservanza dell’art. 36 c. 1 Cost. e dell’art 3, c. 1 Cost.[;] 3) [l]’accertamento e la dichiarazione dell’inapplicabilità al personale non dirigenziale delle cancellerie e segreterie giudiziarie delle norme di cui al Decreto Legislativo 30.3.2001, n. 165 – Norme generali sull’ordinamento del lavoro alla dipendenza delle amministrazioni pubbliche – e succ. modificazioni, recanti la disciplina sulla privatizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche e precisamente: art. 2, comma 2, D.Lgs. 165/01; art. 2, comma 3, D.L.gs. n. 165/01; art. 3, comma 1, D.L.gs. n. 165/01; art. 51, comma 1, D.L.gs. n. 165/01; art. 40, comma l, D.L.gs. n. 165/01 primo periodo; art. 40, comma 2, D.L.gs. n. 165/01, primo periodo; art. 45, comma 1, D.Lgs. n. 165/01, primo periodo [;] 4) l’accertamento e la dichiarazione dell’appartenenza del personale non dirigenziale delle cancellerie e segreterie giudiziarie all’Ordine giudiziario»;

che, a sostegno dell’azione esercitata, i ricorrenti – ben consapevoli che la normativa vigente sul lavoro pubblico conduce a qualificare, invece, il loro rapporto di impiego come contrattualizzato – hanno svolto due gruppi di censure di illegittimità costituzionale delle richiamate disposizioni del d.lgs. n. 165 del 2001;

che un primo gruppo di censure riguarda l’asserita violazione dell’art. 108, comma primo, Cost., laddove pone una riserva di legge in tema di disciplina della magistratura e dell’ordinamento giudiziario;

che le questioni si appuntano sulla deduzione da parte dei ricorrenti nel giudizio principale della propria appartenenza all’ordine giudiziario, sia con riguardo allo speciale “status” agli stessi attribuito dall’art. 4, comma 3, del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario), per il quale il personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie di ogni gruppo e grado fa parte dell’ordine giudiziario, sia, sul piano organizzativo, per essere i medesimi addetti alle cancellerie e segreterie giudiziarie uffici operanti in sinergia e diretto supporto con la magistratura ai fini dell’attuazione della funzione giurisdizionale;

che – secondo i ricorrenti – l’assoggettamento al regime generale della privatizzazione del rapporto del personale alla dipendenza delle amministrazioni pubbliche – introdotto dal decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), poi confluito nel d.lgs. n. 165 del 2001, – si porrebbe in contrasto con l’art. 108, primo comma, Cost., che prescrive che le norme sull’ordinamento giudiziario e su ogni magistratura sono stabilite con legge;

che dovrebbero essere ricondotte nell’ambito di applicazione della relativa riserva di legge anche le norme volte a regolare il rapporto di lavoro del personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie in quanto volte a disciplinare il funzionamento dell’istituzione giurisdizionale nel suo complesso;

che i ricorrenti assumono che la predetta riserva di legge statale, sancita dall’art. 108 Cost., determinerebbe l’illegittimità costituzionale delle richiamate disposizioni del d.lgs. n. 165 del 2001, nella parte in cui hanno previsto la privatizzazione del rapporto di lavoro anche del personale delle segreterie e cancellerie giudiziarie e la rimessione della disciplina di ogni aspetto del relativo “status” economico-giuridico alla negoziazione collettiva;

che, con un secondo gruppo di censure, i ricorrenti pongono in discussione la compatibilità delle disposizioni censurate anche con gli artt. 36, primo comma, e 3, primo comma, Cost.;

che la vigente regolamentazione posta dalla contrattazione collettiva, quanto al trattamento normativo ed economico del rapporto di lavoro del personale giudiziario non dirigenziale appartenente ai ruoli del Ministero della giustizia e addetto ai compiti d’ufficio facenti capo al personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie, comporterebbe un inadeguato trattamento retributivo con violazione dell’art. 36, primo comma, Cost., che assicura al lavoratore il diritto «ad una retribuzione proporzionata alla quantità ed alla qualità del suo lavoro»;

che sarebbe violato anche l’art. 3, primo comma, Cost., con riguardo al regime differenziato riservato al personale della Presidenza del Consiglio dei ministri, il quale, in forza dell’art. 74, comma 3, del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 (Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni), si giova di un comparto autonomo di contrattazione collettiva;

che, a fronte di queste censure dei ricorrenti, il giudice a quo si limita a considerare – quanto alla loro rilevanza – che, «ove le impugnate prescrizioni del D.Lgs. 165/2001 dovessero essere ritenute conformi alla Costituzione, il presente ricorso dovrebbe essere respinto»;

che, quanto al merito, il rimettente – nel considerare la «tendenziale non spettanza, al giudice a quo, della valutazione attinente alla corretta perimetrazione dei limiti intrinseci della discrezionalità del legislatore» – ha concluso per la non manifesta infondatezza delle questioni sollevate dai ricorrenti;

che, con atto in data 8 luglio 2021, si sono costituite nel giudizio costituzionale le parti ricorrenti del processo a quo sostenendo l’ammissibilità e la fondatezza delle questioni;

che, con atto del 13 luglio 2021, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, deducendo, in primo luogo, la manifesta inammissibilità delle questioni, in quanto i ricorrenti avrebbero agito nel processo principale facendo leva su (non meglio precisati) diritti costituzionalmente protetti, mentre essi godono di un’aspettativa di mero fatto rispetto all’esercizio della discrezionalità del legislatore nella regolamentazione, con legge, del loro rapporto di lavoro;

che, comunque, la non manifesta infondatezza delle questioni non è adeguatamente motivata, essendosi il giudice rimettente limitato a riferire le eccezioni sollevate dai ricorrenti;

che, nel merito, la difesa dello Stato ha dedotto la non fondatezza delle questioni sollevate in riferimento a tutti i parametri;

che, quanto all’asserito contrasto con l’art. 108, primo comma, Cost., l’Avvocatura generale dello Stato rileva, in particolare, che tale norma trova applicazione esclusiva per la regolamentazione del rapporto di lavoro dei magistrati, i soli che costituiscono l’ordine giudiziario, mentre il personale delle cancellerie e delle segreterie ne fa solo parte (art. 4 del r.d. n. 12 del 1941);

che in ogni caso la privatizzazione del rapporto di impiego del personale delle cancellerie e delle segreterie giudiziarie è stata prevista con legge (art. 2 del d.lgs. n. 165 del 2001) e quindi da una normativa di rango primario, che demanda alla contrattazione collettiva la disciplina di plurimi aspetti del rapporto stesso;

che – secondo l’Avvocatura generale – sono manifestamente infondate le questioni in riferimento all’art. 36 Cost., sia in quanto il personale giudiziario ha una retribuzione adeguata con tutte le garanzie proprie del pubblico impiego, sia perché non è comunque la fonte – legge o contrattazione collettiva – a determinare di per sé il rispetto, o no, del diritto a una retribuzione proporzionale e dignitosa;

che la difesa statale argomenta, infine, la non fondatezza anche delle censure di disparità di trattamento (art. 3, primo comma, Cost.) rispetto al personale della Presidenza del Consiglio dei ministri, che comunque è anch’esso regolamentato dalla contrattazione collettiva, pur nell’ambito di un comparto autonomo;

che ha depositato opinione come amicus curiae, dichiarata ammissibile con decreto presidenziale del 17 febbraio 2022, l’Associazione dipendenti giudiziari italiani (ADGI);

che, in prossimità dell’udienza, le parti e l’Avvocatura generale hanno depositato memorie in cui hanno ribadito le loro posizioni.

Considerato che il Tribunale ordinario di Roma, sezione lavoro, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2, commi 2 e 3; 3, comma 1; 40, comma 1, primo periodo, e 2, primo periodo; 45, comma 1, e 51, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), in riferimento agli artt. 108, primo comma, 36, primo comma e 3, primo comma, della Costituzione;

che, preliminarmente, in rito, quanto all’ammissibilità delle sollevate questioni, «la circostanza che la dedotta incostituzionalità di una o più norme legislative costituisca l’unico motivo di ricorso innanzi al giudice a quo non impedisce di considerare sussistente il requisito della rilevanza, ogniqualvolta sia individuabile nel giudizio principale un petitum separato e distinto dalla questione (o dalle questioni) di legittimità costituzionale, sul quale il giudice rimettente sia chiamato a pronunciarsi» (sentenza n. 4 del 2000; in senso conforme, sentenze n. 217 del 2019, n. 239 del 2018, n. 35 del 2017 e n. 1 del 2014);

che ciò vale anche nel caso in cui, con il ricorso nel giudizio principale, sia esercitata, in un giudizio civile, un’azione di mero accertamento, sempre che sussista l’interesse ad agire (art. 100 del codice di procedura civile);

che, però, in ogni caso il giudice non è esonerato dall’individuare il «petitum separato e distinto» di tale azione rispetto all’oggetto della questione di costituzionalità;

che nella fattispecie il giudice rimettente non si è fatto carico di verificare, sotto il profilo della rilevanza, la necessaria incidentalità delle sollevate questioni di legittimità costituzionale;

che, infatti, nell’ordinanza di rimessione il giudice a quo, pur riconoscendo che l’esame del ricorso si sarebbe esaurito con la decisione richiesta a questa Corte, si è limitato a trascrivere, in termini meramente testuali, l’oggetto della domanda dei ricorrenti, senza precisarne la portata, né puntualizzarne il contenuto;

che, in particolare, per un verso il rimettente non prende posizione in ordine alla qualificazione della domanda dei ricorrenti di plurime pronunce di accertamento, tutte meramente dichiarative, convergenti verso l’auspicata applicabilità del regime di diritto pubblico, di cui all’art. 3 del d.lgs. n. 165 del 2001, al rapporto di impiego del personale delle cancellerie e delle segreterie giudiziarie;

che, per altro verso, il rimettente non si confronta con il carattere necessariamente incidentale che, per essere ammissibili, avrebbero dovuto presentare le questioni sollevate dai ricorrenti, omettendo di motivare sul punto e limitandosi solo a ritenere la loro non manifesta infondatezza;

che pertanto le questioni sollevate sono tutte manifestamente inammissibili.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2, commi 2 e 3; 3, comma 1; 40, commi 1, primo periodo, e 2, primo periodo; 45, comma l, e 51, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), sollevate, in riferimento agli artt. 108, primo comma, 36, primo comma, e 3, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Roma, sezione lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 marzo 2022.

F.to:

Giuliano AMATO, Presidente

Giovanni AMOROSO, Redattore

Filomena PERRONE, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 21 aprile 2022.